Come diventare chef

Se avete preso in considerazione l’idea di diventare cuochi, dopo aver visto uno dei tanti programmi che impazzano, da anni, in tv; forse fareste meglio a rifletterci ancora un po’. Perché il sudore e la fatica che sperimenterete sul campo non hanno nulla a che fare con i confort dei set patinati immortalati dalle telecamere. A ispirarvi dovrebbe essere, piuttosto, una smodata passione per il cibo e per le persone, alle quali dovrete dedicarvi senza riserve. Dimenticate i format di successo e concentratevi su voi stessi, interrogandovi sulle vostre effettive capacità culinarie. Se non ne venite a capo, interpellate parenti, amici e conoscenti e verificate se avete le carte in regola per tentare di diventare qualcuno. Saper cucinare non basta: chi aspira a fare il cuoco, deve mettere in conto tante cose. E dare prova di abilità che esulano dalla manualità davanti ai fornelli (che pure, non può certo mancare).

Com’è organizzato il lavoro in cucina

Partiamo col dire che lavorare nella cucina di un ristorante (di un albergo, di una mensa scolastica o aziendale, di un fast food ecc….) è una delle esperienze più stressanti che si possano sperimentare. Le insidie sono ovunque e la necessità di accontentare un pubblico più o meno numeroso ed esigente impone di muoversi a ritmi più che sostenuti. Sono precisazioni che vanno fatte, per sgombrare il campo da certi falsi miti alimentati dalla tv. Che veicola l’immagine del cuoco “glamour”, che non si sporca mai le mani e non si scotta mai.

Cosa fa, invece, il cuoco di una normale cucina? Difficile a dirsi con esattezza, dal momento che – a seconda della grandezza del locale in cui lavora – può essere portato a fare cose diverse. Prendiamo l’esempio di un ristorante di medie dimensioni, che può accogliere fino a 50 avventori alla volta. Pretendere che sia un solo cuoco a soddisfare le richieste dell’intera clientela non è pensabile. In questo e in altri casi, subentra la necessità di organizzare per bene il lavoro, distinguendo le mansioni da distribuire a ciascun membro della cosiddetta “brigata da cucina”. Che – in linea di massima – comprende lo chef (o il capo cuoco), lo chef in seconda (che lo sostituisce, quando deve assentarsi), i capo partita (o capolinea) che sono i responsabili di una determinata linea di produzione (carne, pesce, dolci, piatti freddi ecc…) e i commis (o apprendisti), che osservano e danno una mano, seguendo le indicazioni dei superiori.

Cosa fa il capo cuoco: requisti e formazione

Focalizziamo la nostra attenzione sulle figure apicali: al capocuoco e al suo vice non si chiede semplicemente di mettersi ai fornelli (anzi, il più delle volte, a occuparsi della preparazione vera e propria delle pietanze sono i loro collaboratori), ma di selezionare con cura gli alimenti da cucinare, di accertarsi che i cibi e le provviste vengano conservate in maniera idonea (in modo da preservarne la freschezza e la fragranza), di elaborare nuove ricette da inserire nei menu e di coordinare il lavoro dei sottoposti che rischiano di intralciarsi l’un l’altro, tra padelle, pentole e attrezzi di ogni tipo. Se ne deduce che, per fare il cuoco, la passione e la manualità non bastano. Tra gli ingredienti che non possono mancare ci sono anche la creatività e l’organizzazione intesa come capacità di guidare e istruire una squadra che dovrà rivelarsi coesa e perfettamente sincronizzata. A non guastare sono anche le capacità relazionali che possono aiutare il capo cuoco a rapportarsi, nel modo giusto, coi collaboratori e coi clienti (che, sia detto per inciso, possono complimentarsi, ma anche lamentarsi di qualcosa). Chi vuole crescere e migliorare sempre più, deve essere pronto a incassare le critiche e orientato ad aggiornarsi costantemente.

Ma qual è il percorso formativo che deve seguire l’aspirante cuoco? Non esistono corsi di laurea specificamente dedicati alla cucina e – in linea di massima – per svolgere questo mestiere (anche ai livelli più alti), non occorre aver conseguito il titolo di “dottore”. Chi non vuole precludersi questa possibilità, può però iscriversi ad un corso di Economia del Turismo o ad un corso di diploma universitario in Economia e Gestione dei Servizi Turistici. La via più battuta è quella che parte dalla frequentazione di un istituto professionale alberghiero. I primi tre anni abilitano al conseguimento di una qualifica come operatore di cucina, operatore di servizi di sala e bar o come operatore di ricevimento. Mentre il biennio successivo (post-qualifica) permette di ottenere un diploma di Tecnico dei Servizi della Ristorazione. Sono titoli che possono bastare, a chi vuole muovere i primi passi nel mondo del lavoro (specialmente se pensa di iniziare dalla cucina della trattoria sotto casa che cerca, da tempo, un aiuto cuoco). Ma chi aspira a fare le cose in grande – e, perché no, magari sogna di diventare uno chef stellato – farà meglio ad andare oltre. E a frequentare uno (o più) dei tanti corsi professionali offerti da strutture pubbliche e private. Fornire un elenco esaustivo è impossibile: l’offerta didattica è vastissima e prevede percorsi specialistici per tutti i gusti e per tutte le tasche.

Quanto guadagna un cuoco

Per fare il cuoco serve, insomma, tanta passione, esperienza e abnegazione. I sacrifici che sarete costretti a fare (non esistono feste né momenti di riposo, quando si entra in cucina) potrebbero, però, essere ripagati bene. Uno chef mediamente apprezzato può guadagnare dai 3 mila ai 7 mila euro al mese, ma le “super star” che si sono guadagnate stelle e riconoscimenti e che sono solite aggirarsi per gli studi televisivi, arrivano a incassare cifre stratosferiche. Uno chef in seconda può portare a casa uno stipendio mensile che va dai 2 mila ai 3 mila euro, ma quando affianca uno chef blasonato, può arrivare a intascarne anche 4 mila. Devono accontentarsi di compensi più bassi, invece, i capo partita, che percepiscono mediamente 1.400 euro al mese, e i commis, che arrivano a guadagnarne circa mille. L’esordio come apprendista non procura, insomma, entrate particolarmente “succose”, ma il proseguo può rivelarsi quanto mai redditizio. A patto che facciate tutto per bene e che alla qualità e alla bontà dei piatti preparati con cura, uniate anche il rispetto delle norme igieniche e delle persone che lavorano con voi. L’amore che porterete a tavola e la professionalità dimostrata ai clienti faranno la vostra fortuna.

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